domenica 22 marzo
Potrei essere ovunque, anche nel bosco dietro casa. L’unica certezza che sono in cima è l’ometto di pietra su cui mi sto appoggiando per la classica foto alla Fabio, per il resto sono circondato da un totale e opprimente grigiume: il cielo è grigio, la parete che precipita a picco verso nord è grigia e anche la neve ha lo stesso colore livido. E pensare che fino ad una manciata di ore prima non sapevo ancora dove sarei andato.
Tutto inizia già mercoledì con la plastica: mi sento una chiavica, impedito anche a chiudere da secondo un fottutissimo 6a con una specie di lancio spallata che proprio non riesce a venirmi. Poi salta fuori un’ideuzza che va a gambe all’aria una volta viste le previsioni e con essa ogni sogno di caianesimo extreme. Il cambio viene quindi buono per la falesiata del sabato al Lariosauro dove la mia forma non si mostra poi così malandata come avevo inteso. Resta però il fatto che rimango con un certo senso di svogliato amaro in bocca: da un lato domani vorrei combinare qualcosa che ricordi una sana lotta caiana, dall’altro non ho la motivazione per sentire la sveglia chiamarmi e così carico un po’ di tutto in macchina, vado da Micol e aspetto che il mio corpo decida di alzarsi. Sotto certi aspetti sono fortunato: mi sveglio alle 7, senza bisogno del trillo del cellulare, dall’altro però, quando anche potrei ronfare beatamente, mi ritrovo con gli occhi sgranati a fissare il soffitto. Mi alzo, decido la meta, quindi saluto Micol e mi avvio verso il san Bernardino con cielo coperto ma senza pioggia. La notte invece ha nevicato, 10 o 15 centimetri, comunque sufficienti per cancellare i segni più evidenti della siccità. [continua]