domenica 10 febbraio
“Questa cascata non sa da fare!”. All’inizio però le cose sembrano girare in un altro verso. Nevischia ma con fiocchi minuscoli di polistirolo che non riescono ad accumularsi e con la macchina riusciamo a salire senza difficoltà alla frazione sopra Isola. Poi imbocchiamo la mulattiera e rapidamente raggiungiamo il gruppo di baite da cui infilarci nel nebbione e nelle viscere della val Febbraro.
All’attacco della cascata sono col naso all’insù, ipnotizzato dal muro che ci sovrasta nella parte alta e alla ricerca del suo punto debole dove spero di riuscire a passare: questa volta non intendo ripetermi con la fattoria dello zio Tobia! Attacco quindi la cascata sulla parte destra dove forma una rampa relativamente appoggiata. Il ghiaccio è morbido e io mi sento quasi forte, padrone della situazione: forse quest’oggi il coniglio se ne starà chiuso in gabbia. Poi la corda finisce e mi ritrovo in mezzo al nulla di un pendio innevato senza apparentemente avere alcuna possibilità per sostare finchè un albero sulla destra mi leva dagli impicci. Recupero il Gabri e il Danny che poi proseguono verso l’alto avvicinandosi verso il salto che ora sembra un po’ meno disponibile rispetto quando lo osservavo dal basso. Inizia così un conciliabolo sulla linea migliore da salire ma pare più un discorso tra sordi perchè l’unica cosa su cui riusciamo ad intenderci è dove dovrebbe andare la prossima sosta mentre mi resta piuttosto oscuro capire dove, secondo il Danny, dovrebbe passare il tiro dopo. Quindi parto: arrivo sotto le zanne troncate di una serie di stalattiti mentre a sinistra ho una tavola di ghiaccio che suona vuota. Se ci salissi probabilmente proverei l’ebbrezza del surf su cascata. [continua]