sabato 22 ottobre
La Sig.ra Siberia ci saluta beffarda con la manina gelata dal finestrino dell’auto. Preparo lo zaino infilandoci tonnellate di materiale e poi partiamo. In questi giorni ho svuotato i negozi di Como dei chiodi di cui disponevano: è stato un po’ come andare alla ricerca della pietra filosofale, ma, d’altro canto, ero continuamente pungolato dal nuovo progetto che, per diversi giorni, mi ha noiosamente ronzato in zucca.
Saliamo lungo la traccia quasi in totale silenzio; la situazione si fa sempre più pesante, favorita anche dal carico che grave sulle spalle: il nugolo di mosche che ho in testa sbatte a ripetizione contro le pareti del cervello mentre una miriade di ali si cimenta nella classica e irritante suonata ronzante. Sono assalito dai dubbi, un po’ come le pareti sono assaltate da una fredda cappa grigiastra.
Siamo alla base della parete. Lo so perchè ne intuisco le forme ma davanti a noi potrebbe esserci qualsiasi cosa: un ripido prato, uno scosceso dirupo o anche la nave dei pirati! La visibilità è ridotta ad una cinquantina di metri mentre, da un giorno con l’altro, siamo precipitati nel profondo inverno. L’umidità è salita a livelli da foresta equatoriale, tanto è vero che i pile sono completamente zuppi. Sugli ingialliti fili d’erba brillano gli spilli della brina completamente gelati; il panorama sarebbe stupefacente se non fossimo protagonisti del quadro: standoci dentro, tutto diventa tristemente tetro e agghiacciante. Mi attendo da un momento all’altro che sbuchi dalla nebbia il Drakkar dei Vichinghi. Ma poi mi ricordo di non essere più in Norvegia. Devo stare attento a non essere investito da qualche TIR. [continua]