sabato 15 marzo
La meta di oggi è la mitica valle. O meglio, dovrei scrivere La Valle, con la “L” maiuscola. Il paradiso dell’arrampicata; un giardino dove danzare su ripide placche e tra sinuose fessure; un’oasi dove saziare la brama d’avventura e dove assaporare il gusto e l’ebbrezza di lunghi viaggi tra una protezione e l’altra, per lo più su vie da proteggere interamente.
Luca aveva proposto di salire l’Albero delle Pere e Cochise (sulla quale ho avuto modo di arrampicare l’ultima estate), ma poi l’obiettivo è cambiato, rivolgendosi al Risveglio di Kundalini, Cochise + Kundalini o Luna Nascente (una delle vie più belle della Valle e, dicono, di tutte le Alpi!). Siccome ho già salito tutte e tre le vie, ho lasciato carta bianca a Luca e Claudio. Così la scelta è caduta sulla mitica via dello Scoglio.
Ci infiliamo così nella Valle ancora addormentata e ricoperta di un sottile strato di neve gelata: il versante settentrionale indossa ancora l’abito invernale, mentre quello solatio meridionale è già riscaldato dai caldi raggi solari che hanno sciolto da tempo la neve caduta. Stupidamente imbocco il sentiero sbagliato, trovandomi all’attacco di Kundalini: ritorniamo così sui nostri passi fino al Bidè della Contessa sul quale galleggiano alcuni lastroni ghiacciati, rimasugli di un inverno appena concluso. Saliamo quindi nel bosco lungo l’evidente traccia, superando la struttura di Tunnel Diagonale: il sentiero si inerpica tra maestosi faggi e ripide placce dalle quali sono stati strappati gradini e ripiani sui quali sono state posate pietre squadrate, ciclopica testimonianza della perduta civiltà dei Melàt.
L’attacco di Luna è posto ai margini di una maestosa faggeta, ai fianchi di un bucolico torrentello che scivola tra le piode gettandosi verso i pascoli del fondovalle. Comincio la salita da capocordata (ruolo che manterrò per tutti i 9 tiri) con un armamentario degno di una salita in Yosemite: diversi friends, alcuni dadi e un martello per ribattere i chiodi di sosta.
I primi due tiri sono i più duri, ma anche quelli meglio protetti: la speranza è quella di passare in libera, ma chiudere il VII senza alcun riscaldamento è un po’ troppo e, quindi, mi vedo costretto a mungere. Sono comunque soddisfatto, perchè riesco a passare con più tranquillità rispetto la prima volta. Poi le lunghezze si susseguono, rincorrendo la fessura e alternando tratti di dulfer ad altri in cui si incastra o si riesce a scaricare facilmente sui piedi. E’ un continuo ripetersi di movimenti: posiziona la protezione, infila la corda nel rinvio e quindi riprendi l’arrampicata lungo la frattura che sfugge verso l’alto. Raggiungiamo il famigerato occhio: supero la sosta proprio sotto il caratteristico passo e quindi scendo in arrampicata fin dove mi è possibile attraversare verso sinistra, quindi riprendo lungo la fessura fino alla sosta. Dal punto di fermata superato fino alla conclusione del tiro non è possibile proteggersi se non con un Camalot del 4 (che non ho): è un bel viaggio, ma su difficoltà contenute. Qui si conclude il traverso di Polimagò: mentre recupero i miei amici, lo inquadro, analizzo ogni metro, studio tutti i sui cristalli e rugosità. Un’idea comincia a balenare e a ronzarmi in testa, ora solo come minuscolo bozzolo ma poi, chissà, se crescerà fino a trasformarsi in crisalide e spiccare il volo come farfalla: salire questa linea ardita!
Segue un altro tiro che si spegne insieme alla fessura inseguita, ricercata, agognata per tutte le 7 lunghezze salite; poi un traverso verso sinistra fino una fessura che sale ritornando verso destra fino alla sosta: un cammino mentale, su difficoltà molto basse, ma senza possibilità di proteggersi (la relazione di sassbaloss è leggermente diversa dalla soluzione che ho seguito questa e la volta precedente). Quindi l’ultimo tiro con una delicata placca d’aderenza improteggibile e, dopo circa 6 ore d’arrampicata, la cima dello Scoglio delle Metamorfosi.
Ma l’avventura non si può concludere con una semplice discesa, così il canale che ci riporta all’attacco è ancora ricoperto di neve, fortunatamente non ghiacciata. Così, con i piedi bagnati, arriviamo alla base della struttura e quindi all’imbrunire siamo alla macchina.
