L’ultimo giorno prima della ripresa del solito tran-tran lo passo al Buco del Piombo. A dir la verità, ci restiamo solo dall’ora di pranzo causa una piovuta mattutina e alcuni impegni di Roberto.
La mia attenzione è rivolta ad una recente creazione dell’infaticabile De Toffol a destra di Braccia di Piombo: lo stesso apritore (incrociato in occasione della mia salita alla più semplice Giurassica) mi aveva informato della nuova linea, parlandomi di un tiro molto interessante su placca grigia, probabilmente intorno al 6c. Così, carico di curiosità e con le braccia reduci da una settimana di falesia mi ritrovo alla base della parete. Senza alcuna relazione, ma fiducioso nella copiosità delle protezioni, metto le mani sulla roccia, sperando di incontrare difficoltà simili alle altre due vie sportive. [continua]
La macchina romba lungo la statale per Erba quindi inizia a salire per gli stretti tornanti che conduco all’eremo di San Salvatore. Sono accolto dal silenzio e da un senso di solitudine. Lasciata l’auto, attraverso il prato avvolto nei miei pensieri.
Nel giro di poche settimane è già la terza volta che percorro questa mulattiera. Il primo approccio con le vie sportive del Buco risale a una decina di giorni fa quando con il Clod ho salito Giurassica. Poi, sabato scorso sotto un cielo plumbeo mi sono avventurato alla base della parete: volevo testarmi in solitaria, ma dopo un tiro ho abbandonato il progetto sia per il vento freddo che aveva iniziato a battere la parete sia per il meteo poco rassicurante. [continua]
L’obiettivo della giornata era ben più ambizioso, ma una serie di imprevisti mi costringono ad una sola mezza giornata d’arrampicata. Non avendo voglia di andare a spaccarmi di monotiri, opto con il Clod per l’unica “paretona” del comasco: il Buco del Piombo.
Superato il sentiero d’accesso ci troviamo all’attacco della via: l’obiettivo è salire in libera il più possibile, almeno la giornata non sarà completamente persa [continua]!
E’ cominciata la mia avventura come istruttore sezionale che si affianca alla mia attività di accompagnatore di AG. Per il primo anno posso portare un solo allievo e, comunque, affiancato sempre ad un altro istrutture.
La prima uscita (dopo l’esperienza a Scarenna del sabato) si svolge sulle facili placche delle Rovine del Castelliere. Ripassiamo i nodi e alcune manovre mentre la mattinata scivola via rapidamente, per poi, finalmente, mettere i piedi sulla roccia. Il mio allievo (Andrea) si muove con disinvoltura: mi ritorna in mente il corso che feci nel 2002. Ero decisamente più impacciato e, soprattutto, meno abile nel muovermi sulla roccia!
Poi spostiamo l’attenzione su una delle tante vie che solcano la parete: partiamo con due semplici lunghezze che ci conducono alla cengia superiore che incide la placconata trasversalmente. Mi consulto allora con Andrea: al momento non ha fatto fatica e si trova a suo agio; quindi, avuto parere positivo dall’altro istruttore, risaliamo una linea un po’ più difficile. Anche qui, Andrea segue senza problemi fino alla sosta conclusiva da cui iniziamo le calate che ci riportano alla base.
E’ difficile trovare degli stimoli quando un programma ambizioso salta. Così venerdì pianifico un giro di ripiego che, con la bici, mi porta sulla lunga salita del Bisbino. Supero abbastanza agevolmente il nastro d’asfalto che si inerpica verso la vetta, o almeno questa è la sensazione che provo quando scendo di sella. Il programma della giornata è appena agli inizi: salgo la scalinata che conduce all’osservatorio e quindi mi butto nella discesa lungo la via dei monti lariani.
Le gambe sono indolenzite: l’acido lattico accumulato con la pedalata influenza negativamente la corsa che non risulta fluida nè continua. Supero i rifugi Murelli e Bugone a cui segue la discesa che conduce alle pendici del Sasso Gordona. Le gambe versano sempre in uno stato di indolenzimento costante e fastidioso. Mi inerpico lungo il sentiero che conduce alla cima per poi ridiscendere dal versante opposto. Supero il Prabello e poi riprendo la discesa verso Erbonne. Dall’abitato che guarda sulla Svizzera, risalgo verso la Bocchetta d’Orimento da dove, sviato da un cartello che segnala il percorso per il Prabello, ritorno sul versante della Val d’Intelvi, compiendo il periplo del Crocione. Passo così sopra la Capanna Bruno in direzione del Sasso Gordona senza però incontrare altre indicazioni per il rifugio ai suoi piedi. La cosa mi crea non poche preoccupazioni, temendo di non riuscire a raggiungere il mio obiettivo e dover poi tornare indietro! Ma, fortunatamente, tra un sali e scendi e l’altro raggiungo il Pian delle Alpi da cui risalgo verso il Prabello ritornando così sul sentiero dell’andata che mi riporta alla bicicletta.
Il giro mi ha impegnato per circa 9h e 30′ di cui 6h e 20′ a piedi per un totale di poco più di 3000m di dislivello di cui circa 1200 in bici.
Con le gambe ancora doloranti, mi ritrovo il sabato a risalire il breve sentiero che porta al Monte Garzo (CH) dopo una breve deviazione che (per causa mia) ci ha condotti alla base della struttura sbagliata! Il nostro obiettivo si rivolge a Maggialore che avevo tentato tempo fa con il Clod. Inizia Cece che supera rapidamente il primo tiro, quindi prendo il comando raggiungendo la sosta successiva. Mentre assicuro il mio compagno che scala sulla terza lunghezza, Christian, che conduce l’altra cordata insieme a Silvia e Vera, si lascia vincere dalla forza di gravità. La domanda sorge spontanea: “tutto ok?”, mentre mi aspetto una conferma affermativa. Purtroppo, invece, dal basso mi giunge una voce diversa: “non tanto, ho la caviglia gonfia!”. Questo non ci voleva: comunicata la situazione a Cece, ci approntiamo a scendere, mentre Vera e Silvia calano il malcapitato allestendo poi la doppia.
Ci ritroviamo così alla base della parete: la caviglia destra è effettivamente e vistosamente più grossa dell’altra. Non ci resta che scendere lentamente alla macchina. Le due ragazze si caricano così due zaini a testa, mentre io e Cece alternativamente aiutiamo Christian lungo il sentiero. Mai discesa fu così lunga! Oltretutto, le mie gambe che sembravano essere tornate in condizioni normali, tornano a farsi sentire. Così la giornata arrampicatoria termina molto rapidamente per dare il via ad un pomeriggio poco piacevole. Ritornati in Italia, facciamo rotta verso l’ospedale S. Anna di Como dove, dopo una lunga attesa, scopriamo finalmente la reale entità del danno: la caviglia è perfettamente a posto, ma non il perone che presenta una frattura! Che dire? Beh: complimenti Christian per la sopportazione del dolore e buona guarigione!
Dopo diversi mesi, mi ritrovo nuovamente legato con Claudio e Luca. Dopo aver vagliato migliaia di proposte, abbiamo finalmente trovato qualcosa che soddisfi tutti e tre. Ci troviamo così sotto il Pizzo Forcella all’attacco di Sabbia nel Vento. La via è costituita da 9 tiri che ci ripartiamo equamente: i primi 3 a Claudio, poi a me e infine a Luca. La temperatura è mite e il sole splende alto nel cielo, così partiamo piuttosto scoperti: pagheremo questa decisione già dal II tiro, quando alcune nuvole cominciano a fare il loro ingresso in Val Bedretto.
Cominciamo dunque la salita e, nonostante ci si trovi su gradi che non dovrebbero darmi problemi soprattutto da secondo, arrampico con fatica. Mi sento spaesato e poco a mio agio su questi muri verticali solcati da sottili fessure. Superato il primo pilastro, arriva il mio turno di capocordata: fortunatamente, le sensazioni iniziano a diventare più positive. Man mano che salgo, acquisto maggior fiducia superando così alcuni tratti non eccessivamente impegnativi, ma piuttosto expò. Seguono poi gli ultimi tre tiri, condotti da Luca e quindi le calate che ci ridepositano alla base della parete.
Sono le 7 quando arriviamo alla macchina, concludendo così una giornata decisamente “plaisir”. Per una ripetizione occorrono una dozzina di rinvii, alcuni friends piccoli (tricam) per integrare alcuni tratti un po’ lunghi (in nove tiri, abbiamo usato 2/3 protezioni veloci) e due corde; noi avevamo due corde da 60 e siamo riusciti a scendere L9-L8 e L2-L3 con una sola doppia. Dalla sosta finale di L5, calarsi a sinistra (viso a monte) verso una sosta fuori via dalla quale si guadagna la base del tiro di 6b; le altre calate si svolgono tutte lungo la linea di salita (attenzione alla pietre!).
Oggi sarei stato volentieri a casa; avrei divorato un’ottima fondue, fino a scoppiare (mangiare è la mia altra grande passione!), per poi rimpiangere l’impresa con uno stomaco gonfio all’inverosimile.
Ma venerdì mi telefona Lorenzo per il week-end e quindi eccomi qui in Valle Maggia alle prese con i muri di Avegno Scaladri. La scelta ricade su Taroc, una via di 12 tiri su difficoltà medie (6b+, 6a+ obbl). L’arrampicata è prevalentemente tecnica su muri verticali o placche appoggiate, con una spittatura ravvicinata sui tratti duri, mentre sotto il 6a la distanza aumenta decisamente. Per una ripetizione portare una dozzina di rinvii e due corde da 50m per la discesa in doppia (che avviene preferibilmente su Stadera, anche se le soste di Taroc sono attrezzate per le calate); perfettamente inutili (nonostante le indicazioni della guida del CAS) i friends.
Il IV tiro (6a+) e il penultimo (6b+ continuo) sono molto interessanti e appaganti, peccato non mi sia riuscita completamente la libera sulla seconda lunghezza!
La mia idea era quella di andare al Monte Garzo o, meglio ancora, a Avegno Scaladri; ma in effetti, come mi hanno fatto notare i miei compagni d’avventura Lorenzo e Luca, a ovest faceva un po’ troppo freddo. Quindi cambiamo meta e ci dirigiamo alle Placche di Paleria, in Val Onsernone.
La scelta cade su “Cose Preziose” all’omonima struttura (ometti lungo il sentiero d’avvicinamento). Si tratta di una via in placca di 5 lunghezze (L1: 6b+; L2: 6a; L3: 6a; L4: 4c; L5: 6a+), ottimamente spittata. Per una ripetizione portare: 10 rinvvi e 2 corde da 50m per la discesa in doppia (le soste sono attrezzate per le calate, ad eccezione di quella di L4 che viene saltata; con 2 corde da 60m si riesce ad evitare anche la sosta di L1). La guida di Glauco Cugini consiglia di portare i friends dallo 0.5 all’1, ma io non li ho usati.
La salita non ha presentato grossi problemi: il 6b+ è azzerabile, e l’obbligato dichiarato (6b) è forse un po’ generoso. Certo, non è stato comunque facile arrampicare su una placca un po’ sporca (L1) dove, in alcuni tratti, bisogna fidarsi esclusivamente dei piedi. Unica nota negativa: il vento freddo che si è levato al secondo tiro, bersagliandoci con gelide raffiche per tutta la salita.
Memore di quanto mi era stato riferito sulle nuove vie vicino al Tramonto, sono andato per provarne una insieme al Clod e a Massimo. Si tratta di una via di tre tiri ottimimente protetta a spit su roccia generalmente buona (prestare comunque attenzione) e con arrampicata su muri verticali.
Materiale. 14/15 rinvii e, consigliate, 2 corde da 60m.
Accesso. Dalla falesia del Tramonto, seguire la traccia in discesa fino a quando questa svolta decisamente a sinistra. La via parte (viso a monte) a sinistra di un facile canale (cordino su un albero a pochi metri da terra) da una piazzola appositamente costruita con spit ben visibili.
Discesa. Seguire la linea di doppie che scende a destra, lungo un’altra via (sosta di partenza da un diedro canale, alla quale è meglio arrivare assicurandosi). Con due corde da 60m si riesce a effettuare comodamente una sola calata fino a terra (possibile anche con due corde da 50m). Con un’intera sono necessarie 2/3 doppie (comunque attrezzate).
Descrizione. L1 (sul V): sale il muretto verticale su roccia rossastra fino a deviare in orizzontale verso sinistra in corrispondenza di una zona vegetata (ultimo spit). L2 (5c/6a): muro verticale in leggero traverso verso sinistra, piuttosto lungo; termina su una comoda cengia. L3 (6a+, a detta di un apritore 6b obbl.): prima fessura, poi placca tecnica e quindi strapiombino; mi riesce a vista. Sosta finale da attrezzare su albero
Ieri sono tornato con Lorenzo al giallo. Dopo esserci scaldati sui tiri più abbordabili, abbiamo provato cianfrin (6c+): al secondo giro, con le coppie già posizionate, mi è quasi riuscita la RP! Mi sposto quindi sul 6c a sinistra di “pensionando” e arrivo in catena senza resting. Si tratta comunque di una RP dal momento che già l’anno scorso avevo messo le mani sul tiro (lo stesso dicasi per cianfrin).
L’obiettivo di oggi è piuttosto ambizioso: conbinazione della “maggialore” (Monte Garzo) con i primi tiri di “lucertola” (attenzione, lo schema di lucertola è sbagliato: il sesto tiro non piega a sinistra sopra il tetto, ma sale diritto) , per 500m di via (12 tiri) con difficoltà fino al 6c e 6a+ obbligato; chiodatura: rigorosamente a spit vicini (non sono necessari friends o dadi); consigliate due corde da 50m (per la discesa in doppia) e 13/14 rinvii. Sulla guida di Glauco Cugini è segnata la discesa su sentiero, possibilità che però non abbiamo verificato
Il mio compagno d’avventura è il forte placchista Clod. Partiamo di buon ora da Como, così da sfruttare i momenti in cui l’ombra avvolge ancora la parete. L’avvicinamento è rapido e reso più semplice dal fatto che ero già venuto da queste parti per salire la più nota e lunga (ma un po’ più facile) alhambra. Subito la via mostra i denti con un ostico tettino di 6b+; le provo tutte pur di passare (staffe comprese), ma alla fine desisto: il passo non è azzerabile direttamente, a meno di aggirare il tetto sulla destra… E così faccio, sfruttando un vecchio spit come unica protezione e quindi rientrando sulla via con un traverso esposto, ma facile, verso sinistra.
I tiri si susseguono su placca, incrociando la via cini verso la fine della terza lunghezza, da dove si prosegue a destra (viso a monte), seguendo la linea di spit nuovi. Si giunge quindi alla fine del quinto tiro, dove si abbandona il tracciato di lucertola, per immettersi su maggialore. Supero il tiro in traverso senza grosse difficoltà e quindi recupero il Clod. Quando arriva alla sosta, è visivamente preoccupato e impressionato dal tetto sotto di noi: certamente questa traversata di 6a+ (passo duro in traverso all’inizio) non ha giovato al suo spirito. E, infatti, non tarda a confermare le mie sensazioni. Riesco comunque a convincerlo a proseguire per la lunghezza successiva (6c). Parto così verso un muro piuttosto tecnico a tacchette: in alcuni passi mi aiuto appoggiando i piedi agli spit, ma alla fine raggiungo la sosta. Questa lunghezza, eccetto per la parte iniziale che traversa ancora verso sinistra, sale sulla verticale, con una discreta esposizione e un’arrampicata entusiasmante.
E’ tempo che il Clod mi raggiunga: supera i primi due spit, ma poi si blocca nel tratto che lo conduce al terzo. Passano diversi minuti in cui è visivamente combattuto tra proseguire o battere in ritirata; è come bloccato: il vuoto lo paralizza (strano, perchè non è alla sua prima esperienza, e nel suo palmares vanta anche una salita all’aerea parete sud della Sfinge in Valmasino). Alla fine, a malincuore, non mi resta che calarlo alla sosta e ridiscendere a mia volta in doppia (cosiglio di rinviare alcuni spit sulla calata del 6c che si svolge in obliquo).
Dalla sosta del traverso di 6a+, ci caliamo nel vuoto del tetto sottostante: appena toccata terra imbocchiamo una vaga traccia tra la vegetazione che in piano verso sinistra (viso a valle) riporta alla sosta finale del quinto tiro di lucertola; da qui, sempre in doppia, si guadagna la base della struttura.
Siccome è ancora piuttosto presto, decidiamo di salire una delle vie poste tra lucertola e alhambra: la scelta cade su pinocchio (bolli blu), valutata dalla guida 6a (5a obbl). Il primo tiro, il più duro, mi da del filo da torcere: placca tecnica e d’aderenza (caratteristiche comuni anche agli altri tiri) per nulla banale con spit lontani mediamente 5/6 metri! Il carattere di via con protezioni lunghe (comunque vicine ai tratti più ostici) continua anche nelle lunghezze successive, con apice al secondo tiro dove su 35/40 metri sono presenti 4 spit! La sopracitata guida riporta alcune imprecisioni: il 6a è obbligato, come anche i passi di 5c/5c+; sono poi perfettamente inutili i friends o i TCU vista la quasi totale assenza di fessure.