venerdì 25, sabato 26, domenica 27 aprile
difficoltà: OSA, la cresta PD+/AD con passi di I e II
dislivello: 3400m
I giorno: il gruppo Butti
La sveglia trilla impietosamente. Sono le 4. Il ritrovo con l’Ale, Ste e Ucci è fissato per le 5 al Melillo e quindi ho tutto il tempo per riempirmi di fette biscottate e miele. La partenza è regolare e l’auto, carica all’inverosimile, si ferma a Fino dove abbiamo appuntamento col Lele. Rapido scambio degli equipaggi e risistemazione del materiale e ci immettiamo in autostrada. A Quincinetto la squadra finalmente si completa con l’aggiunta del Sandro. Comincia la salita e le auto arrancanti e sbuffanti guadagnano lentamente quota finchè la svettante punta della Gran Becca si staglia all’orizzonte, maestoso e imponente edificio che proprio non ci azzecca con la modernità di Cervinia. Ah la natura, incapace di considerare l’impatto ambientale e di edificare montagne intonate con le strutture antropiche!
Incuranti dell’etica alpinistica (ma siamo a Cervinia!) saliamo al Platò Rosà sfruttando le tre funivie e così in poche ore ci ritroviamo da 300 a 3400m di quota. Ha quindi inizio il nostro cammino nell’imperscrutabile mente dell’alpinista, alla ricerca della risposta alla fatidica domanda: ma chi cazzo me lo fa fare? Gli sci scivolano sulla neve battuta delle piste e ben presto ci troviamo sotto il Braitorn. Rapido consulto: “Che ore sono? Ma il Braitorn non lo facciamo? Mah, io andrei diretto alla Porta Nera. Ma dai, già che siamo qui… Si, ma poi dobbiamo andare alla Monte Rosa Utte“. Detto e fatto. Siamo in cima al Braitor. Almeno un 4mila l’abbiamo messo in tasca.
La Porta Nera è Grigia: il vento solleva nuvole di neve polverosa che oscurano il sole. La temperatura è maledettamente lontana dai valori Tropicali e quindi decidiamo di perdere velocemente quota. Bisogna individuare la traccia, cercando di evitare i seracchi che incombono sulla linea di discesa. “Andiamo di qua. Io andrei di là. Ma di là dove?” Alla fine, ci troviamo a 2400m sull’immensa lingua pianeggiante che discende dal Rosa verso Zermat. Altra breve (circa 300m di dislivello) – lunga (meglio non conoscerne lo sviluppo)risalita e siamo alla Monte Rosa Utte. “Ciao! siamo il gruppo Butti”; occhiataccia del rifugista a squadrare un gruppetto che di tedesco non sa un’acca e quindi risponde “Occhei! voi andare tormire stanza tue, da letto otto a letto tretici; cena ezzere alle zette e trenta; colazione alle quattro o alle zette, voi coza fare?” rapido consulto e rispondiamo: “Mah, colazione alle 4:30”; “Nain! colazione ezzere alle quattro o alle zette! capiten?” a malincuore: “Vada per le quattro”. E la domanda che batte sempre più: ma chi cazzo me lo fa fare?
II giorno: l’azione
Alle 4, il gruppo Butti si presenta al tavolo della colazione e alle 5 comincia la lunga marcia verso la meta. Un’interminabile fila di luci si snoda arrancante lungo il ghiacciaio disegnando serpentine sinuose sul pendio. Il sole infatti si sta ancora riposando sotto le calde coperte, mentre noi combattiamo col pungente e fastidioso freddo alle mani. Sui 4100m ci troviamo di fronte al primo dubbio della giornata: la traccia evidente e gli altri sci alpinisti salgono diritti, ma la carta suggerisce di piegare a destra, raggiungendo la cresta che conduce alla vetta. “Che si fa? Battiamo traccia, ovvio!”. Oh che piacere! Oh qual stupenda sensazione!. Ho appena dato il cambio all’Ale in testa quando finisco con una gamba in un buco: “Eh che cazzo! Occhio che c’è un crepo” Decidiamo saggiamente di legarci. Nel frattempo il Sandro, lo Ste e Ucci ci raggiungono, decidendo di ritornare sulla traccia più marcata per tentare la Norden. Rimaniamo io, l’Ale e il Lele su questo terreno candido e immacolato.
A 4300m abbandoniamo gli sci per sostituirli con i ramponi quindi estraiamo le picche e riprendiamo lentamente la salita. Sulla cresta si aggrega alla cordata un quarto elemento, un ometto paffuto e panciuto dai neri ricci scompigliati e con un insolito nome: Eolo. Il classico rompi-coglioni di turno! E la domanda rimbomba nella mente!
Il primo tratto si svolge su neve dura, a volte ghiacciata, ma la progressione è ancora sicura e relativamente veloce. Arrivano le prime roccette e, lungo un canalino ghiacciato in discesa, anche le prime difficoltà. Superiamo il passaggio piazzando un chiodo da ghiaccio e ci ritroviamo sulla seconda spalla nevosa che ci infonde fiducia sulla vicinanza della meta. Dei tre, il più motivato è l’Ale (non per nulla è V Mascìn!) e io non esito a cedergli l’onere di battere la traccia. “Dai che manca poco. Vedo la cima! ci siamo, alè!”. Chiaramente la montagna si sta prendendo beffe di noi: la cresta prosegue rocciosa e il punto più alto non è proprio dietro l’angolo. Proseguiamo di conserva, alternandoci io e l’Ale nella conduzione della cordata. Superiamo alcuni tratti delicati: prima un traversino ghiacciato, dove finalmente sfrutto le potenzialità della mia Quark, poi un passo dove incastro la becca della picca (nella miglior tradizione di drai-tuling), quindi un canalino di misto reso più docile da una fissa. Passa in testa V Mascìn, che mai da segni di cedimento. Supera ancora un tratto aereo, scavalcando un cubo roccioso e quindi si trova alla base di un caminetto da cui penzola un canapone. Supera il passaggio, poi è la volta del Lele (che, poco prima, aveva sapientemente importato le tecniche buldering su un passo che io avevo risolto con quelle di ghiaccio) e infine del sottoscritto. Un urlo di gioia (e la risposta alla domanda) si alza: siamo in cima alla Dufur, dopo 3 ore di cresta! E siamo nuovamente in tre: il ciccione rompi-coglioni deve aver preso il volo più in basso, non riuscendo a sostenere il nostro ritmo incalzante!
E’ tempo di ritornare sui nostri passi, questa volta con ordine immutato: davanti l’Ale, in mezzo il Lele e io a chiudere. In 2 ore superiamo il tratto di cresta, facilitati dalla conoscenza dei passaggi. E, da buon parassita, l’obeso riesce ancora ad aggregarsi lungo l’ultimo tratto nevoso. Finalmente ricalziamo gli sci e riprendiamo la discesa, rimanendo comunque legati: il cordone ombelicale ci sbilancia non poco e quasi ad ogni curva ne consegue una caduta. Ci sleghiamo in corrispondenza del crepo che avevo scoperto a mie spese e quindi possiamo sciare liberamente su una neve in ottime condizioni fin quasi alla Monte Rosa Utte.
III giorno: il chilometro lanciato
Sveglia tardi e succulenta colazione e poi ci attende il rientro; in cielo non c’è una nuvola, come nei giorni precedenti, mentre quell’idiota di Eolo deve essersi trasferito da qualche altra parte, perchè del suo flaccidume non c’è la minima traccia. Una breve ma intensa discesa ci catapulta sul lungo pianoro glaciale che superiamo scattando foto a ripetizione delle vette circostanti e favoleggiando sulla possibilità che, a quell’ora, ci saremmo potuti trovare al Colle del Lis, se solo…
La lingua glaciale si incunea in una stretta gola e noi vi finiamo inghiottiti, divorati dalle fauci della montagna che non tarda a colpirci con una breve scarica, dalla quale scampiamo fortunatamente senza danni (eccezzion fatta per la sgommata sulle mutande!). Un breve tratto a piedi e quindi ancora sugli sci e, finalmente, raggiungiamo gli impianti di risalita, poco sopra Zermat. Che sollievo ritornare alla civiltà; all’evoluta, raffinata, attenta, lungimirante, ambientalista civiltà degli abitanti di Zermat. Loro hanno saputo rinunciare alle puzzolenti e inquinanti automobili, per un turismo più consapevole e rispettoso dell’ambiente montano. E i turisti sono ben lieti di queste attenzioni e quindi, come orde, calano nella valle per ammirarne i picchi e i verdi pascoli. Ma i turisti chiedono di andare in alto e i nostri hanno risposto con funivie, impianti di risalita, elischi e, magari in futuro, una bella piramide egizia in cima al Piccolo Cervino. Ah, l’ambientalismo moderno!
Comunque, catturati dalle mode imperanti, ci facciamo ingolosire dalla funivia che ci rideposita a 2900m di quota per poi risalire gli ultimi 400m che ci separano dal Platò Rosà. “Così risparmiamo sul costo del biglietto. Si, poi 400m li facciamo in meno di un’ora”. Peccato che le nostre attente considerazioni non avessero tenuto conto dell’infinito pianoro che separa l’arrivo della funivia dal Platò Rosà! Chiediamo l’aiuto del grassone, ma i suoi riccioli scapigliati non si lasciano vedere se non quando raggiungiamo la nostra meta dove il suo intervento risulta poco gradito. E’ proprio un parassita rompi-coglioni!
PS: [3giorni] per [2quattromila] uguale [6partecipanti]