sabato 23 giugno
Svuotato. Prosciugato, afflosciato come un sacco vuoto. Mi trascino per la Combe Maudit: il sole picchia impietosamente sulla mia figura che vaga in questo deserto innevato. E l’occhio torna a martellare, un dolore lancinante, insopportabile. Mi fermo, poi passa: mi sembra stia migliorando ma già immagino ogni peggior scenario. Non mi volto nemmeno a guardare lo slanciato obelisco dal Gran Capucin ma sento comunque il suo ghigno beffardo mentre ci osserva arroccato sul suo trono.
Arriviamo al parcheggio della funivia di Courmayeur venerdì sera, davanti ai nostri occhi si profila il sogno: vedo il granito rosso, ne tocco le rugosità , solco le sue fessure. Se ce la facciamo saremo sommersi dai bollini, cammineremo dieci metri sopra la terra e, ci diciamo, potremmo anche considerare conclusa la stagione. Ma è ovvio che non sarà così e lo sappiamo entrambi.
Un granello di sabbia deve essermi entrato nell’occhio: lo lascio perdere e ci dormo sopra.
La mattina c’è già coda alla funivia ma, nonostante tutto, riusciamo ad essere al Torino quasi in orario. Ho lo zaino bagnato: quella maledetta borraccia ha deciso di aprirsi riversando il suo prezioso contenuto dentro il mio sacco; praticamente sono senz’acqua in mezzo ad un mare di neve. In cielo brilla un sole incredibilmente caldo, il cielo è completamente sgombro di nubi e il Gran Capucin si staglia perfettamente pulito da questa bianca distesa: la giornata ideale in totale solitudine. Il cuore sobbalza mentre l’occhio inizia a dare qualche debole fastidio ma non è nulla di che. [continua]