domenica 27 giugno
– Bene, alla fine siamo ancora vivi e non abbiamo chiamato il soccorso – e io aggiungo – e non siamo tornati sulla sedia a rotelle -. Già, in effetti è vero: certo, se dovessi pensare a questi anni, non avrei creduto che sul Grand Diedro della Marocca avrei potuto avere tutti questi problemi che, d’altro canto, siamo riusciti a risolvere anche se al prezzo di un mio volo a rallentatore, un tiro su cengia erbosa R6 (o forse anche R7 perchè non so se la sosta a friend avrebbe tenuto un volo di oltre 40m con fattore 2) del Marco e col Walter che avrebbe potuto maturare sulla sosta a spit sottostante senza alcuna possibilità di muoversi. Beh, alla fine lo scherzo della corda con incastr’appoggio ci è costato ad occhio un paio di ore di ritardo. E poi c’è chi sostiene che andare veloci non sia sinonimo di sicurezza. E se invece che ruzzare su per il sentiero ce la fossimo presa un po’ più comoda? E se ci fossimo crogiolati all’attacco come la coppia di teutonici di cui lui sembrava più propenso ad una giornata in spiaggia a Rimini che a scalare al Qualido? Probabilmente avremmo bivaccato in parete (credo primo bivacco nella storia del Grand Diedro) e poi forse qualcuno si sarebbe accorto del nostro ritardo e avrebbe allertato i soccorsi. Così io e il Walter avremmo riprovato l’ebbrezza del volo in elicottero.
Uso la mia relazione di Quote Rosa per trovare l’attacco. E già ho paura: ho paura del tempo indicato. Siccome sono scozzese (o, senza scomodare i fieri portatori del kilt, sono comasco), di solito tendo ad essere un po’ restio ad elargire minuti sugli avvicinamenti, così quelle 2:30/40 ore mi pesano ben più dello zaino-bagno turco. Alla fine però mi trovo all’attacco con una precisione svizzera mentre la presenza di una coppia inizia a tormentarmi. Questi però sembrano più propensi al bivacco fancazzista che intenzionati a scalare: a lui mancherebbero infatti solo amaca e sombrero per dare il via ad una bella siesta. [continua]