sabato 16 ottobre
All’attacco della Gandin qualcuno ha aperto la camera frigorifera e acceso il ventilatore ma d’altra parte il trio che ci ha raggiunti non ci ha dato altre possibilità se non quella di lasciare il sole che illumina il sentiero a fianco della parete per portarci in prima linea ed evitare di farci soffiare il posto. Così io e Cece ci troviamo col naso all’insù a spingere il dolomitico Matteo su per il primo tiro mentre le dita lentamente subiscono la metamorfosi in bastoncini Findus. L’amico, intanto, se la cava senza problemi (non che ce ne fosse il dubbio) tessendo lodi su lodi sulla magnificenza della linea e sulla solidità della roccia finchè finalmente si decide a recuperarci fuori dalla cella. Essendo poi lui il forestiero, non possiamo certo togliergli il piacere di proseguire a condurre la salita e così, nonostante i suoi tentativi di rifilarci le corde, cavallerescamente lo lasciamo in testa mentre noi ce ne stiamo beati a goderci finalmente il tepore del sole. Mi ritrovo quindi con la corda dall’alto a emulare le gesta del capocordata e di Cece sul passo chiave della seconda lunghezza solo che come cinese faccio proprio pietà e la copia non mi viene: la scusa è che il blocco è per nani (quindi io mi trovo con le ginocchia in bocca) e c’ho le dita fredde, la realtà è che sono la solita pippa caiana e ai fittoni luccicanti non riesco proprio a dire di no. Per il resto la via scorre senza particolari intoppi col Matteo che sembra un disco incantato sull’elogio della parete finchè raggiungiamo la campana di vetta e da qui due rapide doppie ci depositano alla base a pochi metri dalle vicine via di Tiziano e Fantasma delle Libertà. Guardo l’orologio e inizio a fare due conti: ce la faccio o non ce la faccio? [continua]