Mont Blanc du Tacul: Arete du Diable (Alta Savoia)

sabato 02 luglio

La sveglia non deve neanche suonare: sono talmente eccitato (o spaventato?) che le ultime ore di sonno le ho passate con un orecchio allerta così quando i due tizi di fianco al nostro letto si alzano, guardo l’ora; manca una manciata di minuti alle 2, è il momento. Mi sfilo dal sacco lenzuolo, sistemo in qualche modo le coperte e sono fuori. La sala da pranzo pullula di voci: mi domando dove andrà tutta sta gente mentre non ho ancora ben chiara la portata di quello che andremo a fare, so solo che mi conviene riempire la pancia perché poi in questi casi non si sa mai quando ricapiterà. Alle 3 la notte ci avvolge: prendiamo la prima traccia sul ghiacciaio ma dopo una manciata di minuti è chiaro che qualcosa sta andando storto: c’ho il solito lumicino in testa e col suo fascio non è che riesca a capire granché ma so solo che ci stiamo abbassando troppo. Chi ben inizia è a metà dell’opera e noi ci stiamo impegnando per finire nell’imbuto dello scarico. Torniamo sui nostri passi in direzione di due luci che si stanno avvicinando e finalmente troviamo la traccia nel marasma di ghiaccio. La Combe Maudit è uno dei posti più fichi ma noi non vediamo nulla, solo una serie di punti luminosi dondolanti verso la Kuffner e una coppia diretta alla nostra cresta: pare che saremo quasi da soli e la cosa non mi dispiace affatto! Poi ci infiliamo verso la fine della conca, alla base del pendio e più in alto iniziano a spuntare cordate come funghi e a quel punto mi parte la scimmia: basta mettere insieme una salita, un terreno classico da caiano con neve e sfasciumi e un manipolo da raggiungere che scatta il lato competitivo. Il risultato è che arriviamo alla cresta col sole, in un ambiente da favola e dietro le due coppie che ci precedono ma poi alla base della prima torre il pit stop è di quelli da attesa del treno fantasma. Le varie cordate devono distribuirsi lungo la Chaubert e così ho tutto il tempo per riflettere e farmi lentamente abbracciare da un senso di inquietudine e inadeguatezza. È come un lento ma costante stillicidio: alla fine il bicchiere si riempie e poi rischia di straboccare. Sarò in grado di scalare con ‘sti ferri da stiro ai piedi? Non è che finisce che il Marco dovrà parancarmi su per le creste? E per rispondere a tutte ‘ste pare mentali, mi tocca pure partire per il primo tiro. Quarto. E questo sarebbe un fottutissimo quarto?! Come cazzo faccio a spalmare una scarpa che è rigida come un pezzo di marmo sulla placca? È come voler scalare con gli scarponi su Uomini e Topi! La soluzione è solo una: faccio come il Fiorelli, tolgo la scarpa e salgo a piedi nudi. Poi mi illumino di immenso: afferro il chiodo, lo tiro e arrivo alla presa. Forse bisogna ripensare a come interpretare la scala delle difficoltà. Per il resto il tiro fila liscio e alla fine mi ritrovo in cima al primo 4 mila della giornata, pronto per la prima sequenza di doppie. [continua]

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